Tutto è politica. Se un film non fornisce suggerimenti o suggestioni su come vivere, amare e odiare, probabilmente accetta le regole del mondo così come sono.
Anche registrare uno stato di fatto, riflettere su come vanno le cose, è politica.
Favolacce è un film politico, più de La terra dell’abbastanza, in cui la drammaturgia dell’amicizia giovanile occupava gran parte della pellicola.
È utile ricordarsi del famoso pessimismo cosmico di Leopardi. I gemelli D’Innocenzo sono pessimisti quanto lui. Perché non c’è alcuna speranza che la nostra società possa evolvere. Tutto è marcio, contaminato, corroso alla base, cibo per formiche. Le tre istituzioni principali, famiglia, scuola e Stato hanno rinunciato alle proprie responsabilità etiche.
I protagonisti di Favolacce non sono i bambini che vediamo, ma degli adolescenti in corpi di bambini. Come gli adolescenti, hanno capito come dovrebbe girare il mondo ma si sono subito accorti che non va come dovrebbe andare. Non è forse questa la prima angoscia dell’adolescenza? Hanno avuto gli strumenti per capire che famiglia dovrebbero avere, come dovrebbe essere la scuola. Che fiducia possono avere nel mondo se una ragazza che sta per diventare madre si comporta peggio di loro?
Non esistono esempi virtuosi o punti di riferimento.
E allora facciamolo saltare in aria questo mondo. Se ce lo impediscono, facciamola finita. Bisogna morire.
I bambini del film sono in realtà adolescenti perché pensano alla prima volta come gli adolescenti, odiano i genitori come gli adolescenti, bevono la birra col papà come gli adolescenti.
Ma se il nichilismo degli adolescenti è impresso nello sguardo dei bambini, allora il pugno che arriva pesa dieci volte di più.
Manca l’ossigeno, Favolacce è un film claustrofobico anche se girato per lo più in esterni.
Le favolacce sono quelle che ci hanno sempre raccontato, perché in realtà nessuno si salverà.
I D’Innocenzo ci dicono cosa pensano del mondo in cui viviamo. Per questo sono due autori. Il loro è lo stesso coraggio affilato di Pasolini, Scola e Haneke.
Devono affinare la tecnica cinematografica? Perché la macchina da presa è così distante dalla cena in giardino in cui Dennis rischia di strozzarsi? Perché indugiare così tanto sui corpi e sui volti? Perché aspettare l’urlo della madre, alla fine?
La coralità dei personaggi poteva essere orchestrata meglio? I genitori hanno troppi minuti a disposizione? Tanti stacchi potevano arrivare prima?
Favolacce non è un film sulla periferia. I D’Innocenzo raccontano la periferia, la scelgono come pretesto e punto di partenza, perché è l’ambiente che conoscono meglio, ma la loro è una storia universale. Starebbe in piedi anche a Prati, se fossero nati lì. Universale e senza tempo, dato che è disseminata di riferimenti agli anni Ottanta e Novanta (come It Follows, ad esempio, altra grande riflessione sull’angoscia adolescenziale).
Favolacce è la nostra autopsia.